IMPRESE IN CRISI, SEMPRE PIÙ SOCIAL

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29 Gen IMPRESE IN CRISI, SEMPRE PIÙ SOCIAL

 

Nelle ultime settimane stanno proliferando gruppi su Facebook, a livello nazionale e regionale, dedicati alle “partite iva”, con l’obiettivo esplicito di organizzare forme più o meno plateali di protesta contro l’eccessiva pressione fiscale, a cui sono sottoposte le imprese in Italia.

Visto il mio impegno professionale come Consulente di Marketing per le imprese e come Presidente di un Centro Commerciale Naturale nella mia città, diverse persone mi hanno chiesto, negli ultimi giorni, cosa ne pensassi di questo fenomeno.

Anzitutto devo dire che tante volte mi sono lamentato anch’io, anche sul mio profilo Facebook, di un’imposizione fiscale insostenibile, nel nostro Paese. Questo è un dato di partenza con cui dobbiamo fare i conti tutti i giorni, come imprenditori.

Detto questo, devo purtroppo affermare che in quei gruppi si respira un clima asfittico e di protesta sterile e le uniche proposte che vengono avanzate il più delle volte sono discutibili e legate alla disperazione, tipo: non pagare tasse, non adottare dispositivi per il pagamento elettronico, chiudere per protesta, ecc.

Devo dire che la maggior parte di queste azioni, di fatto, vanno contro gli interessi dell’attività commerciale stessa.
Se io non permetto ai miei clienti di pagare con carta di credito, perdo i clienti.
Se io non pago le tasse, prima o poi mi vengono pignorati i beni o dovrò pagare con interessi e sanzioni; se un’attività chiude per protesta, è vero che può creare un disagio, ma il vero disagio si crea agli incassi di quel giorno.

Mi sembra di ricordare la protesta dei pastori per il prezzo del latte. A distanza di un anno, possiamo affermare che l’unico risultato che hanno ottenuto i pastori sia stato quello di buttare per strada migliaia di litri di latte, facendo del male solo a loro stessi.

Quindi? Non c’è speranza? Non posso certo affermare questo.
Le proteste si possono fare, ma vanno avanzate alle sedi opportune e in modo che possano essere efficaci.

Ma una riforma strutturale come quella che è in discussione, non può avere un riscontro immediato, non è semplice da elaborare e ci dev’essere, soprattutto, una chiara volontà politica da parte di chi governa il Paese.

Insomma, nulla è impossibile, ma è tutto molto complesso.

Certo, alcune scelte dell’attuale governo non si può dire che vadano a favore delle imprese: si diminuisce il cuneo fiscale a favore dei lavoratori dipendenti, ma la pressione fiscale sulle aziende che dovrebbero assumerli e dar loro lavoro non accenna a diminuire. Tutto abbastanza discutibile.

Il problema, però, è: nel frattempo, le imprese che vivono la crisi, cosa devono fare?

In questi gruppi sono intervenuto alcune volte, a questo proposito, causando a volte consenso, altre, la maggior parte, fastidio.

Perché per alcune imprese, l’eccessiva pressione fiscale, è un alibi per non ammettere che la loro impresa non è sostenibile sul mercato, che non sono stati capaci a riposizionarsi correttamente negli ultimi vent’anni, in cui il mercato è profondamente cambiato.

Le strategie promozionali di vent’anni fa, il marketing per intenderci, non sono più efficaci.

La società è profondamente cambiata, il mercato del lavoro è profondamente cambiato, l’economia del territorio è profondamente cambiata! Tutte le dinamiche sono cambiate.

Non basta avere un buon prodotto, ad un buon prezzo, in un dato territorio in cui magari ci sei e ci sei sempre stato solo tu.

Non basta più, se non sei capace di comunicare con i tuoi clienti o potenziali tali, e convincerli che quel prodotto lo devono comprare da te e non da un concorrente che, magari, vende su Amazon nell’altra parte del globo.

Ma come si può fare questo?

Anzitutto ogni impresa deve essere capace di analizzare il proprio business, i propri indicatori finanziari, il proprio bilancio.

E non si dica che non si è in grado di farlo. Ogni impresa ha un consulente fiscale, un commercialista. L’imprenditore deve pretendere che il suo consulente gli fornisca questi dati, se non è in grado di farlo da sé.

Deve capire cosa c’è che non va, se il problema sono i costi eccessivi, o i ricarichi troppo bassi, o pochi clienti.

Io sono sicuro che, per la maggior parte delle imprese, il problema non sia l’eccessiva pressione fiscale, ma l’incapacità di stare sul mercato, di promuoversi in modo corretto.

O di non comprendere che quell’attività non sia sostenibile in quel dato territorio, per un qualche motivo.

A quel punto si può capire se si può lavorare sul marketing, sulla comunicazione, sui costi di gestione, o sia necessario, purtroppo, puntare su altro prima di generare debiti altissimi.

Altro elemento: creare dei circuiti di imprese, entrare in rete con altri operatori, elaborare dei modelli che puntino ad una fidelizzazione della clientela.

E non mi riferisco semplicemente alla solita carta fedeltà, ma a tutta una serie di iniziative e servizi che rendono di fatto più conveniente acquistare presso gli operatori del circuito piuttosto che all’esterno.

Questo, per esempio, fa parte dei progetti che stiamo avviando con il Centro Commerciale Naturale nella mia città.

Costruire i sistemi di imprese, fare rete in maniera stabile e non occasionale è un modo realmente efficace, se guidato da comuni strategie di marketing, per emergere dalla crisi.

In attesa che qualcuno si accorga che le PMI italiane, forse, dovrebbero avere qualche considerazione in più, visto che sono il motore del nostro Paese.

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